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Microplastiche in breve

  • Andrea Vannozzi
  • 4 dic
  • Tempo di lettura: 5 min

Micro e nanoplastiche in breve

Tutti i prodotti in plastica che comunemente usiamo, alla fine, ma anche durante il loro uso, si degradano con la formazione di particelle piccolissime, addirittura microscopiche. Sono chiamate microplastiche quando le loro dimensioni sono inferiori ai 5 mm e nano plastiche in caso di dimensioni ancora inferiori. Le nanoplastiche con dimensioni inferiori ai 100 nm (namometri) sono così piccole da poter penetrare nelle nostre cellule.

La presenza nelle feci (dimostrata da esami) ci dà conferma che quotidianamente introduciamo queste sostanze.

Le microplastiche vengono definite primarie quando derivano direttamente dall’usura di prodotti di uso comune, come per esempio l’usura dei pneumatici o rilasciate da certi tessuti durante il lavaggio (soprattutto se tessuti sintetici di scarsa qualità) o perfino rilasciate durante l’uso di cosmetici, creme e dentifrici.

Vengono definite secondarie quelle generate dalla degradazione di tutti i rifiuti plastici abbandonati nell’ambiente, nelle discariche o negli oceani.

E’ ormai accertato da vari studi che le nano plastiche possono accumularsi nell’intestino modificando il Microbiota, fino ad attraversare la barriera intestinale e diffondersi nell’organismo . Possono attraversare anche altre barriere biologiche, come la barriera placentare. Nel loro processo di penetrazione nell’organismo possono anche veicolare altre sostanze tossiche come, per esempio i metalli pesanti o i POPs, favorendone la diffusione negli organismi viventi con effetti tossici, infiammatori e cancerogeni. All’interno dell’organismo le particelle più fini possono oltrepassare la barriera ematoencefalica ed è stato dimostrato in animali da esperimento che ciò comporta delle alterazioni della normale funzionalità encefalica, soprattutto riguardo la memoria a breve termine.


L’inquinamento da microplastiche è quindi una emergenza mondiale che viene studiata da molti gruppi di ricerca e che deve essere affrontata. Ovviamente è necessario ridurre la produzione dei prodotti plastici ed aumentare la capacità di recuperare la plastica prodotta, che oggi ammonta solo al 9%. Infine è importante che si possa trovare il modo di accelerare la degradazione delle plastiche presenti nelle discariche, utilizzando microrganismi o sostanze enzimatiche, che però non devono danneggiare l’ambiente.

Assorbimento delle microplastiche

Purtroppo le microplastiche sia primarie che secondarie si disperdono nell’ambiente e quindi si ritrovano nell’ acqua e nell’aria, contaminando il cibo e raggiungendo quindi gli esseri umani con l’alimentazione. Ma non sono solo gli alimenti a contaminarci. Il corpo umano è esposto anche attraverso la via inalatoria e cutanea.

L’assunzione di microplastiche con l’alimentazione avviene anzitutto attraverso l’acqua potabile e minerale, i prodotti della pesca e il sale marino, in minor misura da altri alimenti di origine animale come pollame, carne e latte, o vegetale come frutta, ortaggi, miele e birra (e bevande similari). A queste fonti dobbiamo aggiungere anche le microplastiche provenienti dagli imballaggi alimentari

Le microplastiche si disperdono molto nell’aria entrando a far parte del particolato (polveri sottili) e possono percorrere lunghissime distanze, concentrandosi soprattutto negli ambienti chiusi. Si stima che circa il 50% dell’assorbimento avvenga tramite la via inalatoria.

Infine, nonostante la pelle eserciti una importante funzione di barriera anche rispetto ai contaminanti, oltre che ai germi patogeni, una parte dell’assorbimento avviene per via transcutanea. Ciò è favorito dalla presenza di nanoplastiche nei cosmetici per ottenere particolari effetti estetici. Naturalmente anche alterazioni dell’integrità della cute favoriscono l’assorbimento sottocutaneo delle particelle presenti.

La penetrazione delle particelle nel tratto gastroenterico avviene soprattutto se inferiori a 150 nm. Possono essere soggette fagocitosi da parte degli enterociti e raggiungere così il sistema linfatico, i linfonodi, il fegato, la milza e tutti gli organi. A seconda dell’entità della intossicazione possono essere superate le capacità di autodifesa dell’organismo ed aversi processi infiammatori diffusi agli organi dove le nanoplastiche si accumulano.

Le microparticelle inalate che, grazie alle loro dimensioni ridotte (polveri sottili), riescono a raggiungere i bronchioli e gli alveoli, possono essere assorbite e

trasportate attraverso il flusso ematico, diffondendosi a tutti i tessuti.

Per quanto riguarda la cute, lo strato corneo, in condizioni normali, è in grado di ostacolare l’ingresso nel corpo umano delle particelle maggiori di 10 nm. L’assorbimento può avvenire per via intracellulare o transcellutare, attraverso i vari strati dell’epidermide e grazie alla vascolarizzazione del tessuto sottocutaneo, ma anche attraverso le ghiandole sudoripare ed i bulbi piliferi.

L’eliminazione delle microplastiche, di qualsiasi dimensione, avviene sicuramente attraverso le feci, mentre, a seconda delle dimensioni può poi avvenire tramite lacrime, sudore, saliva o latte materno, ma tendono ad accumularsi nell’organismo.

Patologie che possono essere indotte dalle microplastiche

Come è già stato visto, l’azione infiammatoria indotta dalle microplastiche dipende dall’entità della loro presenza e dalla contemporanea possibile presenza di altri inquinanti, dei quali le stesse microplastiche possono favorire l’assorbimento.

I danni all’apparato gastro enterico riguardano soprattutto l’alterazione del Microbioma, la possibile infiammazione della parete intestinale con alterazione della permeabilità endoteliale, favorendo la sindrome dell’intestino permeabile.

I danni all’apparato respiratorio, a seguito di processi infiammatori e stress ossidativo indotti dai vari inquinanti, tra cui le microplastiche, possono essere di varia natura come asma, bronchite cronica, minore efficacia dell’apparato immunitario locale con facili infezioni e minore resistenza al cancro.

I danni all’apparato cardio circolatorio sono dovuti soprattutto all’azione delle microplastiche, assieme ad altri inquinanti, sulla placca aterosclerotica vascolare probabilmente attraverso vari meccanismi d’azione. Il depositarsi delle microplastiche sulla parete di vasi indebolisce la parete ed i sui meccanismi fisiologici di conservazione. Inoltre provocano una azione di infiammazione sulla parete vascolare con conseguente di stress ossidativo locale. Tutto ciò favorisce i processi trombotici.

I danni al Sistema nervoso possono essere dovuti al superamento della barriera ematoencefalica e soprattutto alla contemporanea associazione con i metalli pesanti. Ciò determina neuroinfiammazione con una sintomatologia varia, soprattutto collegata al deficit della memoria a breve termine ed all’invecchiamento precoce, ma vi sono studi in corso per valutare la possibile influenza delle microplastiche sulle malattie croniche neurologiche più importanti.

I danni ai vari organi, in particolare al fegato, sono dovuti all’accumulo, soprattutto riguardo al fegato, ed alla conseguente infiammazione cronica. Nel caso del fegato l’infiammazione interferisce sui processi metabolici, in particolare quelli riguardanti il metabolismo lipidico.

I danni all’apparato riproduttivo ed alla fertilità femminile sono potenziati se l’azione delle microplastiche si combina con interferenti endocrini, come per esempio gli ftalati. Interessano direttamente gli ovociti, che possono venire compromessi provocando infertilità.

Anche la fertilità maschile può venire compromessa per l’azione delle microplastiche, combinata con interferenti endocrini, sulla spermiogenesi testicolare.

L’esposizione materna durante la gravidanza e l’allattamento può comportare la diffusione delle microplastiche al feto, dato che sono in grado di superare il filtro placentare, ed al neonato. Ciò rende possibile una influenza sullo sviluppo embrionale e su dati come il peso alla nascita e lo sviluppo fisico e cognitivo del neonato.

Infine è possibile una carcinogenesi indotta dalle microplastiche di minori dimensioni che, penetrate all’interno della cellula, determinano l’alterazione dei processi di riparazione del DNA sia direttamente che indirettamente (stress ossidativo) inducendo la cellula verso l’apoptosi (suicidio cellulare) quando è possibile o verso la carcinogenesi.

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